Fonte: Avvenire del 15/05/2012

di Enrico Negrotti

All’ansia per la diagnosi della malattia, il malato di tumore deve sommare un carico di costi sociali superiori ai 30mila euro l’anno, che estesi al totale dei pazienti raggiunge la cifra di 36,4 miliardi di euro. Anche se la parte più rilevante sono le spese indirette (mancato reddito e valore dell’assistenza prestata da un parente), va rilevato che i sostegni pubblici al malato (per esempio indennità di accompagnamento) sono presenti in misura del tutto insufficiente: poco più del 3% del costo sociale totale.

È il quadro che emerge dal IV rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici realizzato dal Censis per conto della Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo), che viene presentato oggi a Roma. L’indagine si basa sulle risposte di 1.055 pazienti e 713 caregiver (persone che prestano assistenza al malato, in 8 casi su 10 un familiare) rappresentativi dei 960mila cittadini che negli ultimi cinque anni hanno ricevuto una diagnosi di tumore e dei 776mila che li assistono. Sono coloro che hanno risposto ai questionari capillarmente distribuiti dalle associazioni che fanno parte di Favo e ai punti informativi Aimac (Associazione italiana malati di cancro).

I costi sociali comprendono non solo quelli diretti, quali medicinali o visite specialistiche pagati dal paziente, nonché trasporti e badanti, ma anche quelli indiretti – ed è la parte più rilevante – quali il mancato reddito che la malattia comporta (per riduzione o cessazione dell’attività lavorativa) per il malato e talvolta per la persona che lo assiste più da vicino; e anche il valore di questa assistenza, magari a persone non del tutto autosufficienti. È un peso molto più alto se il caregiver è convivente (tipicamente se il malato è il coniuge o un figlio), mentre incide meno se non è convivente (per esempio il figlio che visita il genitore).

Andando dunque a eseminare le cifre, il rapporto Censis-Favo indica in circa 34mila euro l’anno i costi sociali pro capite per un paziente con un caregiver: superiori se la diagnosi è stata posta nei due anni precedenti (36mila euro), inferiore se risale a un periodo tra i due e i cinque anni prima (30.700). I soli costi relativi al paziente sono di circa 17mila euro, mentre se si sommano quelli relativi al caregiver si raggiungono i 41mila euro circa.

Il peso relativo delle spese è suddiviso tra costi indiretti (quasi l’84%, percentuale che cresce col passare del tempo) e costi diretti. E sui primi l’assistenza del caregiver pesa per quasi il 34% complessivo e la perdita di reddito che subisce il paziente è oltre il 29%, quella del caregiver del 17,7%. Ma c’è un’ulteriore differenza: se il malato ha un caregiver convivente, il peso del costo sociale ha una media di quasi 45mila euro, mentre scende a poco meno di 30mila euro per i caregiver non conviventi.

Ovviamente in questo secondo caso c’è una spesa maggiore per colf e badanti. Diversa la valutazione dei servizi ricevuti: se quelli sanitari sono definiti buoni o ottimi dal 77,3% dei pazienti, quelli sociali lo sono per meno di un paziente su due (45,1%).

L’indagine mostra in modo chiaro che l’impatto sulla vita di una famiglia della malattia tumorale può essere molto pesante: agli aspetti strettamente medici, e psicologici, dello scoprirsi malati, si sommano preoccupazioni di carattere economico-gestionale che accrescono i disagi e l’ansia verso il futuro. Tra i consigli finali del rapporto figura l’appello a migliorare le cure, rendendole più personalizzate e con minori effetti collaterali. E a impegnarsi per un rientro nella vita sociale e lavorativa degli pazienti guariti.

Se si considera poi che l’invecchiamento della popolazione è di per sé un fattore di rischio per lo sviluppo dei tumori, si aggiunge il consiglio a puntare su un’attività di prevenzione a lungo termine che elimini per quanto possibile i fattori di rischio, specie ambientali. Non può essere trascurato però, che proprio il quadro epidemiologico deve richiamare l’attenzione degli amministratori e dei responsabili dei servizi sociali perché siano ripensati i percorsi assistenziali.

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