I nuovi bisogni del paziente
Prof. Francesco De Lorenzo

Oggi di cancro si guarisce molto più di prima e con il cancro si può convivere anche a lun go: è questa la “vittoria” che abbiamo saputo costruire, ma si tratta di una vittoria dimezzata se non sappiamo assicurare ai malati oncologici la migliore qualità di vita possibile, quale che siano la natura e lo stadio della loro malattia, quale che sia il suo perdurare nel tempo. L’unico modo che abbiamo per alleviare le loro sofferenze è di rispettarli come persone ciascuna con la sua specificità e di considerarli come cittadini inseriti a pieno titolo nella società. La ricerca sul cancro, la prevenzione del cancro sono state finora i due campi d’intervento rispetto ai quali maggiori sono stati gli investimenti pubblici e privati con forti ricadute nel campo dell’informazione e con l’ottimo risultato di aver reso cosciente l’opinione pubblica dell’importanza della lotta ai tumori, mentre l’aspetto assistenziale inteso come cura globale del malato è stato trascurato.

O meglio, è stato svolto dall’esercito silenzioso e operoso dei volontari: dall’informazione alla riabilitazione, dall’assistenza domiciliare al sostegno psicologico alla consulenza legale. Il volontariato collabora da sempre con gli operatori sanitari che ne riconoscono il ruolo di supplenza nel colmare le lacune del sistema sanitario pubblico. Ma, finora, il lavoro delle associazioni del malati oncologici è stato poco valorizzato e relegato nella sfera del “fare” e non in quella del “progettare”. Oggi questa dicotomia di ruolo non ha più senso di esistere e il volontariato stesso, prendendo coscienza, è profondamente cambiato. Perché i tempi lo esigono. La stragrande maggioranza delle associazioni ha avuto la capacità di abbandonare il tradizionale “isolazionismo” e per dare maggiore forza alla propria rappresentatività si è unita in una federazione (F.A.V.O. - www.favo.it) che opera a livello nazionale, dialoga con le istituzioni, esprime una vocazione progettuale senza trascurare il contatto con la base dei suoi associati. Una comunione delle forze che abbracci gli “operatori del cancro” , tutti e nel rispetto dei diversi ruoli,  è ormai riconosciuta essere il miglior presidio sanitario globale nella attuale lotta al cancro. Si tratta di un tipo di lotta che richiede prima di tutto un approccio pragmatico e realistico, basato sulla conoscenza dei diversi modi di essere delle persone colpite da neoplasie per poter quindi individuare le necessità, i bisogni, i desideri di cui sono portatrici.

Il migliore paziente è il paziente informato”: a questa conclusione è pervenuto il recente studio, condotto da AIMaC (Associazione italiana malati di cancro, parenti e amici), in collaborazione con l’AIOM (Associazione italiana Medici oncologi), in 21 centri oncologici di eccellenza italiani e pubblicato sulla rivista Annals of Oncology, maggio 2004[1]. Anni prima, sondaggi di altro tipo condotti in otto paesi europei,  era stato il centro Internazionale Picker Institute ad affermare che la prima medicina per il malato è l’informazione. Essi chiedono sempre di più ai medici di essere messi al corrente sulle caratteristiche del loro tumore e vogliono essere coinvolti nelle decisioni terapeutiche. Vogliono realmente contare, non solo sottoscrivere i formulari di attestazione del “consenso informato”. Oggi sappiamo che in oncologia l’informazione rappresenta un aspetto fondamentale dell’iter terapeutico. Eppure siamo ancora in presenza di assenze e lacune. Il problema è che l’informazione individualizzata costa e non può essere erogata dall’alto con interventi tanto improvvisati quanto standardizzati. AIMaC (www.aimac.it) ha già attivato numerosi centri, (Istituto per lo studio dei tumori di Milano, Istituto Regina Elena di Roma, Fondazione Pascale di Napoli, ospedale San Raffale di Milano e altri IRCSS e policlinici universitari) mettendo a disposizione dei malati e di chiunque ne faccia richiesta, oltre alla distribuzione gratuita di strumenti informativi multimediali, scientificamente testati e prodotti dalle associazioni di volontariato, contatti, consigli, indirizzi, anche con l’utilizzazione dei volontari in Servizio Civile.

Seconda questione: la garanzia delle cure palliative, delle terapie del dolore e del ricovero negli Hospices. Malgrado la legge apposita, varata nel 2001, e il successivo decreto attuativo del 2003 che rende ai medici più facile prescrivere farmaci contenenti oppiacei per eliminare il dolore di cui patiscono i loro pazienti, da noi la prescrizione della morfina si presenta ancora come un tabù. Le associazioni di malati da anni sono impegnate in varie forme per diffondere nei pazienti e nelle loro famiglie la conoscenza dei numerosi trattamenti oggi disponibili per non soffrire e superare in tal modo l’oppiofobia ed ogni altro pregiudizio sul ricorso alla terapia del dolore.

Terza questione: fare chiarezza sulle cure non convenzionali. E’ naturale che il paziente oncologico voglia combattere il cancro con tutti i mezzi. Per questo le cure cosiddette non convenzionali guadagnano consenso: si stima i tre quarti dei pazienti oncologici italiani ricorrano a trattamenti come l’agopuntura, vari tipi di massaggi e manipolazioni corporee oppure assuma rimedi omeopatici o di derivazione vegetale e minerale. Da questa posizione discende un compito molto importante tanto per la comunità scientifica quanto per quella dell’informazione e per il volontariato oncologico che attraverso convegni internazionale e con la collaborazione di maggiori esperti a livello mondiale ha realizzato strumenti informativi adeguati al bisogni di sapere dei malati.

Quarta questione: i nuovi diritti per i nuovi disabili. I pazienti oncologici, sotto terapia o cronicizzati, non possono più svolgere il loro lavoro alle stesse condizioni di prima, ma non possono neanche essere espulsi da quel mondo del lavoro dal quale hanno tratto sostentamento economico e motivazione sociale. In questa direzione le associazioni del volontariato hanno già ottenuto un buon risultato. Nella legge Biagi per la riforma del mercato del lavoro un articolo di legge attribuisce ai pazienti oncologici, con oggettiva e accertata disabilità, il diritto di ottenere la trasformazione a part-time del rapporto di lavoro nonché quello di tornare a tempo pieno quando si verifichi una situazione positiva delle loro condizioni di salute. Non si tratta di allargare la sfera dell’assistenzialismo bensì di promuovere forme di flessibilità che da un lato consentono a persone pur sempre valide di mantenere un rapporto con il mondo produttivo, dall’altro evitino di gonfiare la   spesa previdenziale. Con la recente legge finanziaria, grazie a FAVO, tale agevolazione è stata estesa anche al settore pubblico. Sempre grazie all’impegno della Federazione, è stato ridotto a 15 giorni il tempo per ottenere la dichiarazione di invalidità e di handicap, da cui deriva il beneficio economico e sociale per i malati e loro familiari (Legge 9 marzo 2006, n.80.) In conclusione, oggi la giusta risposta ai nuovi bisogni del malato di cancro è rappresentata dalla sua presa in carico globale e ciò può avvenire solo attraverso un’alleanza tra istituzioni, medici, infermieri, psicologi, malati e associazioni di volontariato. La ROL, ponendo la persona malata al centro del sistema, contribuisce a “rispondere alla sfida che l’emergenza tumori pone al sistema sanitario”.
 
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