di Manuela Correra
(ANSA) - ROMA, 7 MAR - Il cancro e' una patologia in crescita anche in Italia, con circa due milioni di malati, e le donne, nel caso di familiari colpiti dalla malattia, sono quelle che garantiscono l'assistenza nella maggioranza dei casi. Pagando pero' un caro prezzo: sul lavoro, di frequente, questo significa essere infatti discriminate, fino addirittura al licenziamento.

A puntare i riflettori su un fenomeno ancora 'sotterraneo', alla vigilia della festivita' dell'8 marzo, e' l'avvocato e presidente della Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo) Elisabetta Iannelli. Il dato positivo, ha affermato l'esperta, che domani parlera' della questione in occasione di un convegno organizzato per l'8 marzo dall'Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma, e' che ''oggi in Italia vi sono circa 800.000 persone impegnate sul lavoro e con una diagnosi di cancro alle spalle. Cio' indica che la malattia e' sempre piu' curabile e, comunque, cronicizzata in pazienti con lunga sopravvivenza''.

Altro dato, ha aggiunto, e' che ''il 90% di questi pazienti considera il lavoro di primaria importanza e vuole continuare a lavorare anche durante il periodo di malattia''. Ma a tale realta' si contrappongono spesso situazioni di enorme difficolta' per le donne: ''Sono sempre piu' numerosi - avverte Iannelli - i casi di 'discriminazione indiretta' negli ambienti di lavoro: la donna e' infatti quella che deve assistere, nella maggioranza dei casi, il familiare malato di cancro, e per questo e' costretta ad assentarsi spesso. Conseguenza: e' considerata meno produttiva e affidabile, fino a subire vari tipi di discriminazione''. Quali? Spesso, ad esempio, afferma Iannelli, ''non vengono rinnovati incarichi di responsabilita', sono negati permessi e part-time; vari sono i casi di trasferimento non richiesto e addirittura, soprattutto nel settore privato, si conta anche qualche caso di licenziamento''. Ma le discriminazioni, precisa l'esperta, in varie situazioni sono anche frutto dell'ignoranza: ''Non di rado, infatti, i datori di lavoro non conoscono i diritti che spettano per legge al lavoratore con patologia oncologica: e' ad esempio previsto un accertamento di invalidita' che da' diritto ad una serie di congedi e permessi retribuiti sia per il lavoratore malato che per il familiare; e' inoltre anche prevista la possibilita' di accedere al part-time, con il diritto di tornare successivamente all'orario lavorativo pieno, e al telelavoro''. Diritti spesso ignorati dai datori di lavoro e dagli stessi pazienti: ''Ecco perche' - conclude Iannelli - ci stiamo impegnando anche per far conoscere le leggi a favore dei malati negli ambienti di lavoro. In varie situazioni, infatti, il datore di lavoro, non conoscendo le opzioni di legge in questi casi, agisce 'allontanando' il lavoratore malato o il lavoratore che assiste un parente malato, ma agirebbe forse diversamente se conoscesse le leggi in materia''. Insomma, la strada delle donne-lavoratrici resta in salita anche rispetto al problema degli effetti indiretti che la presenza di un malato in famiglia determina. Ma la leggi, in questo caso, possono dare una mano concreta. Basta conoscerle e applicarle. (ANSA).


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