di D.B.
MILANO - Il 52 per cento dei casi di tumore si risolve con una guarigione, ma quattro italiani su dieci sono convinti che il cancro resta un male incurabile, sempre e comunque. Una percezione diffusa e senza appello che, per chi vive la malattia in prima persona, può rappresentare un peso in più. Questi i risultati di un sondaggio condotto su un campione di mille persone, commissionato da Fabio Salvatore, scrittore e paziente oncologico, che dopo un tumore alla tiroide diagnosticato a vent’anni e molte ore trascorse nei reparti di vari ospedali italiani a fianco di malati come lui, ha scritto un libro («Cancro, non mi fai paura», Aliberti editore) e ha cercato di capire quale sia il volto della malattia nella società italiana.

IL SONDAGGIO – Dalle interviste, raccolte dalla società Ekma, il tumore risulta la malattia che più di ogni altra fa paura secondo il 68,1 per cento degli italiani e che il 76,3 per cento reputa invalidante. Poco più del 40,2 per cento degli intervistati è convinto che il cancro sia una malattia incurabile, e che fa così paura perché di cancro si «muore male» (25,3 per cento), non si guarisce mai (20,4 per cento) e per il timore delle cure (16,7 per cento).

COME CHIAMARLO? – I più preferiscono la parola «tumore» (77,4 per cento), altri «male incurabile» (40,9 per cento) anche se questa locuzione non piace a tutti perché toglie la voglia di sconfiggere la malattia (25,3 per cento) e aumenta la sofferenza dei pazienti (16,6). In ogni caso non si pronuncia a cuor leggero (per l’83,4 per cento) e in questo Paese non c’è ancora una corretta informazione sulla malattia (57 per cento). Fabio Salvatore il suo tumore lo ha chiamato «lo scarafaggio». «Di cancro si vive ed io ne sono la prova - dice - i malati hanno una visione del cancro molto diversa rispetto alla percezione comune. E’ una malattia che non condiziona solo chi la vive, ma anche chi ti sta intorno. Sapere che quasi la metà degli italiani lo considera un male incurabile è un duro colpo per la speranza e la forza che ogni persona colpita dal cancro deve trovare dentro di sé per sconfiggere la malattia». I diritti del volume di Salvatore saranno devoluti alla Favo, la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia.

PER ESPERIENZA O PER «SENTITO DIRE» - Il fatto che l’idea della patologia tumorale sia profondamente diversa per chi ne ha esperienza diretta è un dato già evidenziato da precedenti studi, come una doppia indagine condotta nel 2008 dall’Istituto Piepoli e dall’Aimac (Associazione italiana malati di cancro, parenti e amici) che ha confrontato i punti di vista dei pazienti e dell’opinione pubblica. Il 61 per cento dei «sani» è convinto che il malato di cancro si isoli socialmente, cosa che pensa solo il 24 per cento dei diretti interessati. Credono (il 60 per cento) che i pazienti «abbiano comunque sempre problemi di salute» e abbiano «paura di morire» (88 per cento), contro rispettivamente il 39 e il 59 per cento delle persone che ci sono passate. Non sorprende che dall’esterno l’effetto collaterale delle cure anticancro prevalente sia quello più visibile ad occhio nudo, ossia la perdita di capelli. I malati invece sentono più il peso di malesseri complessi e molto specifici, come problemi cardiaci, respiratori, muscolari, digestivi, insonnia, stitichezza, neuropatie, perdita del gusto, oltre che nausea e stanchezza.

NON SOLO OPINIONI MA RISCHI CONCRETI – Quattro anni fa, anche una ricerca dell’American Cancer Society su un migliaio di adulti che non si erano mai ammalati di cancro, scelti a caso dagli elenchi telefonici, aveva evidenziato quante idee approssimative ci siano intorno alla malattia oncologica, forse più su qualsiasi altra patologia. I tre quarti degli intervistati condividevano almeno uno di cinque comuni «falsi miti» sul cancro (la chirurgia diffonde la malattia, l’industria farmaceutica ha la cura contro i tumori ma la tiene in un cassetto, le cure anti-dolore non servono, si guarisce se si ha un atteggiamento positivo, contro il tumore non esiste cura). Tutte persone, secondo gli autori dello studio, che su conoscenze errate o imprecise non solo basano il loro atteggiamento verso chi è malato, ma anche le loro stesse scelte in tema di stili di vita e prevenzione. Anche la disinformazione, insomma, può segnare la differenza fra salute e malattia.