Un articolo di Vera Martinella sul tema della maternità dopo il cancro, trattato durante l'VIII Giornata Nazionale del Malato Oncologico

Preservare la fertilità per i pazienti oncologici, quando e come è possibile. Il tema va affrontato dall'inizio delle cure, ma troppo spesso medici e pazienti non ne parlano

MILANO - È fondamentale, che tutti i giovani pazienti ai quali viene proposto un trattamento oncologico, debbano essere adeguatamente informati sui possibili effetti collaterali delle terapie, anche in termini di fertilità e di strategie preposte a salvaguardare la possibilità di diventare genitori. Lo sottolinea l’ultimo "Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici", presentato questa settimana al Senato in occasione dell’ottava Giornata nazionale del malato oncologico organizzata dalla Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo). E il tema, di grande attualità per gli specialisti internazionali, è anche al centro del convegno Maternità e Tumori, organizzato in questi giorni a Caravaggio dalla Società Italiana di Chirurgia Ginecologica (Sichig).

INDAGINE - Ma qual è la realtà italiana? Quanto vengono informati i giovani pazienti su questo argomento? Una risposta arriva dall’indagine esplorativa (condotta su un campione ristretto di 150 donne con tumore) contenuta nel Rapporto presentato al Senato: alla maggior parte delle donne intervistate (77,6 per cento) era stata offerta l’informazione sui potenziali danni delle cure sull’apparato riproduttivo e sulle diverse metodiche per una possibilità di preservazione della fertilità (57,8 per cento). Più della metà delle pazienti (56,7 per cento) desiderava un figlio prima della diagnosi di neoplasia, ma soltanto 6 su 100 hanno scelto di attuare una delle tecniche di preservazione prima d’iniziare i trattamenti anticancro. Inoltre, in circa il 20 per cento dei casi si era discusso dell’effetto negativo delle terapie senza fornire una possibile strategia per limitare i danni indotti. Infine, fra quante hanno dichiarato di essere state a conoscenza dei possibili danni alla fertilità prima di aver iniziato i trattamenti, il 75 per cento era stato informato direttamente dall’oncologo, mentre il 22 aveva cercato notizie su internet.

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