Fonte: ANSA

NAPOLI, 12 SET - In Italia meno del 50% dei centri esegue il numero minimo di interventi contro il tumore. E' quanto emerge dai risultati pubblicati dal sito oncoguida.it, realizzato da AIMac, Ministero della Salute e Iss e diffusi nel corso del congresso della Società italiana di oncologia chirurgica a Napoli.

La chirurgia - secondo quanto emerso - è il caposaldo dell'approccio multidisciplinare ai tumori solidi e, come ampiamente dimostrato dalla letteratura internazionale, è determinante per il successo globale del trattamento i cui risultati sono espressi in termini di morbilità e mortalità. Una valutazione delle criticità in chirurgia oncologica è stata compiuta nell'ambito del Programma Nazionale Esiti di AGENAS - Ministero della Salute. Nel Programma è stato preso in considerazione il rapporto tra volume di interventi eseguiti e mortalità entro 30 giorni, riferiti all'attività dei Centri Ospedalieri e Universitari nel 2013. "I risultati sono eclatanti - dichiara Alfredo Garofalo, past president Società Italiana di Chirurgia Oncologica (SICO) - per il colon retto, la mortalità post operatoria a 30 giorni passa dal 15% a meno del 5% quando il volume di attività raggiunge i 50/70 interventi l'anno; per lo stomaco, la mortalità post operatoria a 30 giorni si dimezza passando da più del 20% a meno del 10% quando il volume di attività raggiunge i 20/30 interventi l'anno; per il polmone la mortalità post operatoria a 30 giorni diminuisce decisamente dal 20 a circa il 5% quando il volume di attività raggiunge i 50/70 interventi annui; per la mammella - non potendosi attendere una mortalità operatoria da questo tipo di intervento - le linee guida internazionali dettate da EUSOMA identificano in 150 interventi annui la soglia minima di attività per definire la Breast Unit".

Nel 2013 un Gruppo di Lavoro formato da esperti della SICO, della Federazione italiana della Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) e del Ministero della Salute ha individuato una metodologia rigorosa per stabilire, anche sulla base delle SDO, i volumi minimi teorici di attività per singola patologia oncologica, al di sopra dei quali le sole strutture chirurgiche che ne sono in possesso dovrebbero essere abilitate ad affrontare le patologie in oggetto. I risultati sono sfociati in www.oncoguida.it, il sito realizzato da AIMaC, Ministero della Salute e ISS, che consente a tutti gli utenti di individuare con rigore i Centri di Chirurga Oncologica i cui volumi di attività per tipo di neoplasia siano garanzia di prestazioni che garantiscano sicurezza e qualità. "Oncoguida - dichiara Francesco De Lorenzo, presidente FAVO - è lo strumento informativo per consentire al malato di cancro e ai familiari di scegliere i centri "ad alto volume di attività" che assicurano affidabilità ed adeguato standard assistenziale: più alto è il numero degli interventi eseguiti, maggiore è l'affidabilità del Centro".

Ad esempio, in Campania su 98 centri che trattano chirurgicamente il cancro del colon retto, solo 8 superano la soglia di garanzia stabilita (80 casi per anno), mentre ben 25 centri hanno effettuato solamente da 1 a 10 interventi. Su 92 centri che trattano chirurgicamente il cancro della mammella, solo 8 superano la soglia (80 casi per anno) e ben 47 (il 51%) hanno effettuato solamente da 1 a 10 interventi. Ma non vi sono infatti sostanziali differenza tra nord e sud. "Ad esempio, con riferimento al trattamento del colon retto - aggiunge Garofalo - soltanto in 9 regioni si supera il 20% di centri con un volume di attività uguale o superiore alla soglia minima stabilita (cut off) mentre in altre 9 regioni la percentuale di centri con un volume di attività uguale o superiore al cut off è molto più bassa''. "Rispetto alle gravi inadempienze delle regioni a chiudere i centri che non assicurano risultati ottimali ai malati di cancro, con i rischi che ne derivano - conclude De Lorenzo - le associazioni dei pazienti chiedono a tutti coloro che devono affrontare un intervento di chirurgia oncologica di documentarsi attentamente su www.oncoguida.it scegliendo esclusivamente i centri a più alto volume di casi trattati. Ciò potrebbe comportare automaticamente, e anche senza alcun intervento da parte delle Istituzioni, la disattivazione dei centri a maggior rischio".

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